Spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare l’eventuale natura commerciale di una attività sportiva e non all’associazione assoggettata a verifica. Questo, secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 2152/2020
Quando si parla di sport la mente va agli stadi pieni, ai palazzetti gremiti, ai grandi campioni. E’ questa la punta dell’iceberg, la parte più splendente di un movimento che attira fantasie e danari. Al di sotto, c’è tutto il resto. C’è il mondo dello sport di base, del volontariato, della scuola, della quotidiana attività svolta da milioni di persone in Italia non solo per il raggiungimento di un risultato ma anche per migliorare la qualità delle proposte.
In tutta questa macroarea in movimento, si collocano le associazioni sportive dilettantistiche, vera linfa vitale dello sport nel nostro Paese. I dati sottolineano la loro importanza: 35 milioni di italiani coinvolti, oltre 100mila le associazioni (che combattono quotidianamente tra difficoltà di carattere economico e burocratico). Una rete sociale invisibile ma fondamentale per la crescita dei nostri giovani, per formare la cultura dello sport, per prevenire patologie legate alla sedentarietà. Lo sport dilettantistico, con questi numeri, rappresenta una risorsa inestimabile che in tutti i modi deve essere difesa.
Eppure, da tempo, stiamo assistendo a un accerchiamento nei confronti dei centri sportivi, con lo scopo di contestare a determinate attività sportive il fine commerciale privando conseguentemente le stesse del regime fiscale agevolato.
Viene pertanto da noi valutata con particolare interesse la sentenza n. 2152/2020 della Suprema Corte di Cassazione che farà giurisprudenza in tema di abuso di diritto. Con questo pronunciamento, l’Agenzia delle Entrate sarà chiamata a dimostrare l’eventuale natura commerciale di una attività sportiva: spetta ad AE lei l’onore della prova sia di un eventuale disegno elusivo che delle modalità di manipolazione da parte dell’associazione tesa a pervenire a un determinato risultato fiscale. Una prova concreta da fornire in giudizio “puntuale, né approssimativa, né sommaria”. Non più quindi presunzioni di non commercialità, ma verificate certificazioni delle stesse.
Pertanto, sarà onere dell’amministrazione provare l’assenza dei principi, nella conduzione dell’attività sportiva, che danno diritto alle disposizioni tributarie agevolative.
Un importante passo in avanti è stato fatto. Ora è opportuno un intervento del legislatore affinchè intervenga intervenire con una norma precisa che, in assenza delle prove in questione, non obblighi l’associazione a esperire tutti i gradi di giudizio.
Il nostro lavoro prosegue in questa direzione. Per la salvaguardia di chi fa quotidianamente sport e di chi lo promuove sul territorio.