Fisco. Oggi parliamo di decommercializzazione dei corrispettivi specifici

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di Andrea Albertin – Avvocato

Circolare 18/E: Condizioni formali per l’applicazione del 148 comma TUIR, la c.d. decommercializzazione dei corrispettivi specifici

Molti dubbi interpretativi ha destato la Circolare in oggetto. Anche considerato che la stessa mal si aggiusta in taluni casi, con quello che è invece un testo di legge, l’art.148 TUIR, che ha riconosciuto il valore dell’associazionismo organizzato, fin dalla riforma del non profit attuata con il D.Lg.vo 460/97.

Partiamo dall’analisi del Testo Unico del 22/12/1986 n. 917

Art. 148 – Enti di tipo associativo. 
Non e’ considerata commerciale l’attivita’ svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformita’ alle finalita’ istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.
Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attivita’ commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell’articolo 143, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualita’ o di occasionalita’.
Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attivita’ svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attivita’ e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (n.d.r. A.S.I.), nonchè le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.
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Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno (n.d.r. A.S.I.), non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempre che le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3.
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Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:
a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonche’ fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
e) eleggibilita’ libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranita’ dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicita’ delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalita’ di voto ai sensi dell’articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreche’ le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;
f) intrasmissibilita’ della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilita’ della stessa.
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Questo articolo va letto con calma, ma è sinteticamente completo ed efficace. Spiega chiaramente come non sia considerata commerciale l’attività organizzata da una ASD/SSD affiliata ASI, che preveda il pagamento di corrispettivi specifici (quote di partecipazione alle attività) anche se versate da tesserati di altre Associazioni A.S.I. E che non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande (bar) gestita direttamente presso i locali dell’Associazione. Con due ulteriori precisazioni: che le attività siano svolte a favore dei tesserati ed in diretta attuazione degli scopi istituzionali. E che, nel caso della somministrazione, siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti dei tesserati al medesimo ente Nazionale (ASI).

Va poi ricordato l’ art. 149 TUIR
1. Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta.
2. Ai fini della qualificazione commerciale dell’ente si tiene conto anche dei seguenti parametri:
a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;
b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;
d) prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese.
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4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche.

Anche questa norma è chiara, semplice, efficace.  Implica che, qualora si svolgessero attività c.d commerciali (ad esempio adottando il Regime agevolato ex lege n. 398/1991), queste potrebbero essere anche prevalenti rispetto alle attività istituzionali a condizione che il soggetto in questione sia una ASD.
Cosa è la legge n.398/91? Sintetizzando si tratta di un regime fiscale che consente la determinazione del reddito imponibile (con abbattimento forfetario dei costi pari al 97% e pertanto con prelievo fiscale sul 3% del reddito) e dell’IVA, sempre in via forfetaria, nonché previsioni di favore  in  materia  di adempimenti  contabili,  di  certificazione  dei  corrispettivi  e dichiarativi. Possono aderirvi le ASD (e – fino all’entrata a regime della riforma del terzo settore – anche le associazioni non sportive) e le società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro che, nel  corso  del  periodo  d’imposta  precedente, abbiano  conseguito  proventi  derivanti  da  attività commerciale per un importo non superiore a 400.000 euro (in precedenza il plafond era determinato in 250.000 euro).

In pratica il regime 398 consente di svolgere attività commerciale fruendo di importanti agevolazioni sul piano contabile e fiscale.
A questo punto non resta che commentare la Circolare 18/E dell’Agenzia delle Entrate del 1 agosto 2018.
La circolare 18/E scaturisce da un importante tavolo di confronto tra Agenzia e CONI su alcune problematiche, relative in particolare proprio all’applicazione del regime di cui alle Legge 398/1991 e del beneficio fiscale di cui all’art.148, comma 3, del TUIR, tenuto anche conto della avviata  riforma del Terzo settore.

Intanto va osservato come nel documento di prassi vi sia una narrazione tutt’altro che sintetica. Abbiamo infatti un testo di ben 79 pagine, che se per certi aspetti può risultare chiarificatore, perché articolato come una serie di risposte a specifici quesiti, per altri solleva nuovi dubbi interpretativi e, soprattutto, si pone talora in contrasto con quanto appena evidenziato nell’analisi del TUIR.

La principale criticità contenuta nella circolare è il tentativo di delimitare l’ambito delle attività per le quali è possibile godere delle agevolazioni previste dal regime di cui alla Legge 398/1991 e dall’art.148, c.3, del TUIR.

Per quanto riguarda il regime 398, viene precisato un nuovo concetto, ovvero che l’applicazione del regime 398 venga limitata ai proventi commerciali derivanti da attività connesse alle finalità istituzionali e condizionata allo svolgimento di attività rappresentanti il “naturale completamento degli scopi specifici e particolari” che caratterizzano l’associazione.

Lo stesso tipo di considerazione vale anche per l’agevolazione di cui all’art.148, c.3, del TUIR. Viene ribadito che, “l’attività svolta in diretta attuazione degli scopi istituzionali” è quella che costituisce il “naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l’organizzazione”.

Cosa significa, concretamente questa frase “naturale completamento degli scopi”? Come rapportarla all’operato della ASD o SSD?
Ad esempio significa (per l’Agenzia delle Entrate) che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande viene esclusa dalla “decommercializzazione” di cui all’art.148, c.3, del TUIR, anche qualora sia svolta nei locali interni dell’ASD e nei confronti dei propri associati.

Qui è evidente che Agenzia “dimentica” che il bar sociale è istituzionale secondo quanto previsto dall’art. 148 comma 5 e non opera alcuna distinzione per le ASD che siano affiliate ad enti come A.S.I. che abbiano anche il riconoscimento del Ministero dell’Interno per la somministrazione circolistica. Inoltre i ricavi del bar, considerati indistintamente per tutte le associazioni, di natura commerciale potranno essere contabilizzati in 398, ma non sempre. Il regime agevolato spetta solo nel caso in cui la mescita sia organizzata contestualmente all’evento sportivo (es. durante la gara o l’allenamento di motociclismo o durante i corsi di tennis e senza l’utilizzo di strutture e mezzi organizzati a fini di concorrenzialità sul mercato (quali, ad esempio, insegne, marchi o locali attrezzati).

Negli altri casi i proventi “dovrebbero” essere tassati secondo le regole ordinarie.
Vi è poi un’ulteriore, e ben più grave, considerazione.

Non sono considerate connesse alle finalità istituzionali le attività riguardanti i corsi svolti nell’ambito di discipline che non rientrano nell’elenco degli sport definitivi riconosciuti dal CONI con delibera del maggio 2017.

Facciamo un esempio. Una associazione svolge Ginnastica rivolta al benessere e fitness ed arti marziali ed in aggiunta a queste svolge attività di KravMaga (disciplina al momento, non prevista in registro) prevista tra le finalità istituzionali del sodalizio e rivolta ai soli soci/tesserati.
L’associazione potrà ovviamente iscriversi al Registro Coni e acquisire lo status di ASD perché svolge attività riconosciute come sportive dilettantistiche e applicherà le agevolazioni spettanti alle ASD, inclusa la norma sui compensi sportivi per le discipline riconosciute.

Le attività sportive escluse dall’elenco, secondo Agenzia, andrebbero considerate commerciali e non connesse con le attività istituzionali. Di nuovo Agenzia “dimentica” che le associazioni possono continuare ad applicare l’art. 148 comma 3 sui corrispettivi specifici che non si applica solo alle sportive dilettantistiche ma a varie categorie di enti associativi particolarmente meritevoli per finalità culturali, di formazione extra-scolastica della persona e sociali; finalità peraltro promosse e valorizzate da ASI che non è solo Ente di Promozione Sportiva ma anche Ente di Promozione Sociale pronto ad entrare nel Terzo Settore riformato.

Pertanto, per tornare al nostro esempio, l’associazione potrà applicare l’agevolazione sui corrispettivi specifici istituzionali (ma non quella sui compensi sportivi riservata alle discipline riconosciute) anche per il krav maga a condizione che l’attività rientri nelle finalità istituzionali, che venga svolta nei confronti di soci/tesserati e nel rispetto delle clausole di democraticità ed effettività previste dal comma 8 dell’art. 148 TUIR. E ciò fino a quando non entrerà a regime la riforma del Terzo Settore che comporterà l’applicazione di questa agevolazione solo per le ASD; in seguito, le associazioni affiliate che non svolgano attività sportive dilettantistiche potranno valutare l’opportunità di diventare ente del terzo settore nella categoria APS – associazione di promozione sociale –  e usufruire di agevolazioni del tutto analoghe sui corrispettivi specifici oltre ad altri benefici espressamente previsti per la nuova figura.
Altra domanda la troviamo al paragrafo 7.3 e riguarda in particolare le SSD.  Le società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza fini di lucro devono obbligatoriamente inserire nei propri statuti le clausole relative alla democraticità del rapporto associativo previste dall’articolo 148, comma 8, lettere c) ed e) del TUIR?

Rilevato che l’articolo 90, comma 18, lettera e) della legge n. 289 del 2002,  in  merito  alla  democraticità  del  rapporto  associativo  prevede  l’obbligo  di inserire  nello  statuto  degli  enti  sportivi  dilettantistici  non  lucrativi  “le  norme sull’ordinamento  interno  ispirato  a  principi  di  democrazia  e  di  uguaglianza  dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, “fatte salve” le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, a  differenza delle associazioni sportive dilettantistiche, “non devono integrare i propri statuti” con le clausole concernenti la democraticità del rapporto associativo previste dalle lettere c) ed e) del comma 8 dell’articolo 148 del TUIR. del codice civile.

Al paragrafo 7.1, Regime fiscale delle prestazioni rese  ai  “tesserati”  delle Federazioni  Sportive Nazionali, degli Enti di Promozione Sportiva e delle Discipline Sportive Associate, la circolare dà una risposta favorevole all’estensione del benefici della decommercializzazione non solo ai soci ma anche ai generici tesserati (categoria molto presente nelle federazioni, ma anche nelle nostre SSD).

Viene inoltre analizzato l’obbligo di emettere ricevuta per le quote, che riguarda le quote associative o le quote di iscrizione ai corsi incassate dall’associazione in contanti e poi versate sul proprio conto corrente con un unico versamento superiore a 1.000 euro.

L’Agenzia delle entrate risponde che l’associazione ha “l’obbligo” di rilasciare al singolo un’apposita quietanza (ricevuta non fiscale), di cui una copia dovrà essere conservata dall’ente. “In aggiunta”, occorrerà dotarsi di un registro di prima nota, nel quale annotare analiticamente le entrate e le uscite, indicando i nominativi dei soggetti, la causale e l’importo incassato o pagato. Si tratta di consigli che sempre venivano da noi dati ai presidenti delle associazioni affiliate ma che alla luce delle indicazioni di Agenzia parrebbero divenire adempimenti obbligatori.

E nel caso di mancata o tardiva presentazione del Modello EAS?
L’invio del Modello EAS costituisce uno degli adempimenti fondamentali per poter usufruire delle agevolazioni di cui all’art.148, comma 3, del TUIR e del parallelo art.4, comma 4, del DPR 633/1972 (iva).
L’Agenzia ha ribadito che il termine fissato per la presentazione di tale Modello non ha carattere perentorio, e che quindi l’associazione potrà godere della “decommercializzazione” delle quote associative e dei corrispettivi provenienti dagli associati ma “solo per le operazioni compiute successivamente alla presentazione” del Modello. Le operazioni compiute prima della presentazione saranno quindi escluse dal regime agevolato e sottoposte a tassazione “ordinaria”

Come valutare questa lunghissima circolare? Per certi aspetti è senz’altro chiarificatrice. Ma la domanda che sorge spontanea è questa. Può una Circolare opporsi a una legge?
Prendiamo ad esempio uno dei passaggi più critici:  Non sono considerate connesse alle finalità istituzionali le attività riguardanti i corsi svolti nell’ambito di discipline che non rientrano nell’elenco degli sport definitivi riconosciuti dal CONI.

Ma il TUIR, già al comma 1 dell’art. 148, come abbiamo sopra evidenziato dice ben altro.

1. Non e’ considerata commerciale l’attivita’ svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformita’ alle finalita’ istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.

Non sono forse istituzionali, le attività sportive statutariamente previste, per il solo fatto di non essere ascrivibili ad un elenco del CONI? Lo sport non è libera espressione?
Nel 1992 la Carta Europea dello sport recitava come definizione di Sport “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli”.
Le circolari, al contrario della legge, sono solo atti interni e vincolano solo i dipendenti della pubblica amministrazione.
Che valore ha una circolare? È davvero tanto forte da permettersi di derogare a una norma del Parlamento o del Governo? E chi decide, in caso di contrasto interpretativo, su quale sia la strada più corretta?
A chiarirlo è una recente sentenza del Consiglio di Stato sent. n. 567/17 che fa seguito a una sentenza della Cassazione del 2017 n. 6185 del 10.3.2017.
la quale ribadisce pressappoco lo stesso principio.

Ricordiamo che il nostro sistema giuridico è basato sul rispetto della gerarchia delle fonti secondo una logica piramidale. La punta della piramide è rappresentata dalla Costituzione, leggi costituzionali e di revisione costituzionale, statuti delle regioni a statuto speciale, trattati costitutivi dell’Unione Europea, regolamenti e direttive dell’UE; fonti di secondo livello sono le leggi, i decreti legge e i decreti legislativi. A seguire le leggi regionali, poi i regolamenti, fino all’ultimo gradino dove stanno le consuetudini.

E le circolari? Non ci sono, non costituiscono fonte del diritto e, quindi, non sono vincolanti né per i cittadini, né per i giudici.  Il Consiglio di Stato sentenza n. 567/17 scrive che, le circolari amministrative costituiscono atti interni a un pubblico ufficio, diretti agli organi di tale ufficio e ai loro dipendenti; esse vincolano solo i comportamenti degli organi operativi sottordinati dell’ufficio. Una direttiva comportamentale impartita dal vertice dell’amministrazione che vincola il personale. Ma non crea certo un diritto né può limitare il cittadino.

Proprio perché la circolare non è una fonte del diritto e non si rivolge al cittadino, questi non può impugnarla davanti al giudice; oggetto di contestazione però sarà il provvedimento della pubblica amministrazione che, facendosi scudo della circolare, ha negato il diritto di applicare la decommercializzazione o addirittura la possibilità di utilizzo dell’opzione 398 alla associazione che svolge attività non prevista a registro CONI.

La triste conclusione è pertanto la seguente: la Circolare non può contrastare la norma di legge. Ma gli organi dell’ufficio possono applicarla costringendoci a ricorrere contro il provvedimento. Con i rischi e le conseguenze del caso.

[  Andrea Albertin, Avvocato del Foro di Padova  ]